SIR GAWAIN AND THE GREEN KNIGHT

ANALISI DEI VERSI 713-725[1]

CENNI PRELIMINARI

Il Sir Gawain è databile attorno al 1375 e riconducibile alla regione delle Midlands nord-occidentali. È anonimo e si trova nel ms Cotton Nero A. X (ora al British Museum), in cui figurano anche Patience, Cleaness e Pearl attribuibili per lingua e stile allo stesso autore. Si tratta di un romanzo cavalleresco di 2530 versi suddivisi in quattro fitts e undici stanze, ogni verso contiene una cesura. Si considera l’esempio più rappresentativo della Rinascita allitterativa[2] dell’Inghilterra settentrionale del XIV secolo.

La materia è riconducibile al ciclo arturiano: un Cavaliere Verde irrompe alla corte di Artù durante i festeggiamenti per il nuovo anno, sfidando uno qualsiasi dei convitati a colpirlo con una scure, a condizione che di lì ad anno egli potrà restituire il colpo presso un luogo da lui stabilito. È Sir Gawain ad accettare; decapita il Cavaliere ma questi sfugge alla morte, raccoglie dal suolo la propria testa mozzata e si allontana, ricordando a Gawain il patto. L’estratto riferisce delle pericolose avventure in cui imbatte il protagonista nel lungo viaggio per incontrare il Cavaliere Verde e tener fede alla parola data.

713                                         Mony klyf he overclambe     in contrayez straunge,

714                                         Fer floten fro his frendez     fremedly he rydez;

715                                         At uche warÞe oÞer water     Þer Þe wyʒe passed,

716                                         He fonde a foo hym byfore,     bot ferly hit were,

717                                         And Þat so foule and so felle     Þat feʒt hym byhode;

718                                         So mony mervayl bi mount     Þer Þe mon fyndez,

719                                         Hit were to tore for to telle     of the tenÞe dole.

720                                         Sumwhyle wyth wormez he werrez,     and with wolves als,

721                                         Sumwhyle wyth wodwos     Þat woned in Þe knarrez,

722                                         BoÞe wyth bullez and berez,     and borez uberquyle,

723                                         And etaynez Þat hym anelede,     of Þe heʒe felle;

724                                         Nade he ben duʒty and dryʒe,     and Dryʒtyn had served,

725                                         Douteles he had ben ded,     and dreped ful ofte.[3]

FONETICA, GRAFIA E CARATTERISTICHE DIALETTALI

Alcuni accorgimenti grafici riferiscono dell’appartenenza al periodo inglese medio. Per le consonanti, sappiamo ad esempio che la semivocale /w/ tende a sparire se preceduta da /s/: è il caso dell’ags. swa che viene qui reso con so, avverbio già pienamente evoluto nella sua veste grafica verso la forma dell’inglese odierno (717, 718).

La palatale /č/ tendeva a cadere dopo /-i/; questo secondo fonema, tende a sua volta alla trasformazione grafica in –y nel caso del suffisso –lic> -ly (fremedly, 714), suffisso di derivazione anglosassone per la formazione di aggettivi e per avverbi.

Pur essendo già attestata la caduta di h- davanti al pronome hit > it, il frammento presenta ancora la forma arcaica (716, 719).

A partire dal XII secolo le vocali che precedevano i nessi consonantici mb, nd, ld si sono allungate, così ad esempio si potrebbe intendere fyndez (718) dall’ags. findan> i.m. fīnden con allungamento quantitativo di /i/ segnalato dal segno grafico y.  L’impiego nel testo tuttavia potrebbe non corrispondere a questa esigenza di segnalazione della quantità se, come fa notare Mossé, le regioni settentrionali e in parte le Midlands si sottraggono all’allungamento vocalico prodotto dai nessi consonantici citati.[4] La frequenza del segno y sarebbe dunque probabilmente imputabile ad un mero fatto di comodità nella lettura: una forma preferibile perché più facilmente identificabile all’interno della parola rispetto alla i (seguendo quindi quella stessa esigenza grafica che ha portato all’introduzione, divenuta poi regola, del pronome personale di prima persona singolare scritto in maiuscolo: “I”).

L’ags. ea /æa:/ era già monottongato nella forma /æ:/ nel corso dell’ XI secolo, per poi innalzarsi ad /ε:/: è il caso dell’ags dead > i.m. ded (725). In alcuni dialetti del Sud, questo suono tendeva a chiudersi in /i:/ se seguito da /x/, cosa che non accade nel frammento in esame, poiché notiamo l’esito heʒe (723) e non high /hi:x/. La /æ/breve si era invece depalatalizzata in a (nelle Midlands occidentali ciò si generalizza nel XIII secolo): così ags. wæter > i.m. water (715).

Le vocali atone in posizione finale erano evolute nell’indistinta [ə] scritta e. Questo fonema era già anch’esso caduto nel corso del XIII secolo dapprima nei monosillabi e nelle parole grammaticali, di norma non accentate (716: bot < bote/bute), e dalla fine del Trecento non era più pronunciata. Se ne compaiono qui ancora dei residui (ad esempio BoÞe, 722) ciò va imputato alla natura stessa del testo, che essendo in forma poetica tende non solo a mantenersi più conservativo, ma anche a sfruttare tutti i meccanismi ancora leciti nel sistema linguistico per finalità metriche e melodiche.

Riguardo la grafia, il digramma qu (debitore dei testi latini) rappresenta il nesso hw > wh: oÞerquyle (“otherwhile”, con significato di “altre volte”, 722), ma non in modo esclusivo perché poco prima nel testo (720, 721) troviamo sumwhyle dove wh sono mantenute. Il segno đ è totalmente assente a favore di Þ[5]; la sonora /ğ/ è indicata con la g carolina (straunge, 713).

ʒ indica la spirante sorda /x/ con la sua variante palatale /ç/, ma queste pronunce iniziavano probabilmente già a perdere forza; anche la sibilante nel plurale è espressa con “yogh” nel manoscritto del Sir Gawain e in genere negli scritti delle Midlands nord-occidentali[6].

Nel periodo medio inoltre, molte parole che foneticamente non avevano subìto alcuna variazione iniziano ad essere alterate nella scrittura. Un caso di questa tendenza è l’introduzione grafica della doppia vocale per indicare la quantità: /e:/ ed /o:/ che vengono segnalate rispettivamente con ee ed oo (716, foo < ags. gefā[7]); la ou di foule (717) potrebbe essere un’influenza francese nella grafia della vocale [u], ma anche in questo caso non è regola standard perché troviamo ad esempio bullez (722). Il nesso /a/ + /n/ è reso con on, così abbiamo ad esempio mony (713, 718) anziché many, mon (718) anziché man.

MORFOLOGIA

I casi del plurale sono tutti livellati in sibilante –es (< ags –as del nom. acc. masch.): Fer floten fro his frendez (714), […] wyth wormez […] and with wolves (720) e ancora wodwos (721), bullez and berez, and borez (722); questo perché nel corso del periodo inglese medio il modello di declinazione forte con temi maschili in –a, più distintiva perché marcata dal genitivo singolare e dal plurale in –es, si era estesa a tutti gli altri temi.

Anche l’aggettivo è ormai indeclinato. Di norma conserva solo una –e finale per tutti i casi al singolare dei temi deboli e per tutti i casi al plurale sia per i temi forti che deboli. Questa ultima traccia scomparirà solo alla fine del Trecento, ma è ancora ben visibile nel frammento, ad esempio: straunge (713) riferito al sostantivo plurale contrayez, so foule and so felle (717), heʒe (723).

L’articolo ha perso  l’intera flessione anglosassone se-seo-Þæt a favore della forma indeclinata Þe che si applica indifferentemente ad ogni genere, caso e numero (715, 718, 719, 721, 723).

Il neutro Þæt/Þat sopravvive all’assimilazione in Þe confluendo in un diverso valore: quello di articolo dimostrativo enfatico. Accanto a questa funzione, una molto importante è evidentissima nel testo:  Þat  (qui solo in questa seconda veste grafica) assurge a pronome relativo indeclinabile (a sostituzione degli ags. se Þe, seo Þe, Þæt Þe “il quale, la quale”), di impiego molto esteso nel periodo inglese medio sia per l’inanimato che l’animato, dal momento che gli odierni who e what hanno ancora solo funzione di pronomi interrogativi. Il suo valore di pronome relativo è ben evidente nei versi 717, 721, 723:  la sua funzionalità è quella di introduzione alla subordinata, ad esempio per le proposizioni relative v. 721: /[…] wyth wodwos Þat woned in Þe knarrez/ e v. 723 /etaynez Þat hym anelede/ o congiuntamente a so nelle consecutive v. 717 /and Þat so foule and so felle Þat feʒt hym byhode/.

Compaiono pronomi e aggettivi indefiniti: Uche (715 “ogni”), oÞer (722, oÞerquyle). An/on (qualcuno) sembra invece già avvicinarsi alla funzione di articolo indeterminativo (a, 716), un’innovazione del periodo inglese medio: il numerale anglosassone an infatti era divenuto con regolare evoluzione fonetica on, ma in posizione atona iniziò a sviluppare la funzione di articolo indeterminativo a/an. Per i numerali figura nel testo l’ordinale tenÞe (719), con suffisso di formazione –th.

A causa dell’assenza di declinazioni sufficientemente distintive, nel testo compaiono molte preposizioni. In (713, 721) è utilizzata per lo stato in luogo, era già in uso nel periodo anglosassone e si rafforza con l’influsso del normanno en, analogamente at (715, <ags. æt) risente del corrispettivo francese;  fro (714), prestito scandinavo (< norr. fra “da”) indica qui un complemento di separazione; of è utilizzato sia per introdurre il partitivo (of the tenÞe dole, 718) che per il luogo (of Þe heʒe felle, 723). Wyth/with (720, 721,722) viene infine utilizzata con il significato di “contro”, ma nel XIV secolo stava già assumendo un ulteriore significato, quello di “con”, soppiantando l’originario mid.

Per la correlazione, è frequente la congiunzione and (717, 720, 722, 723, 724, 725), cui fanno da contraltare als (“anche”, 720) e un solo esempio di disgiunzione: oÞer (715 “o, oppure”).

Nel frammento è ricorrente, quando non intervengono specifici appellativi (Þe wiʒe, Þe mon), il riferimento al soggetto protagonista tramite l’uso del pronome personale di terza persona singolare maschile. I pronomi personali nell’inglese medio conservano forme diverse: si mantiene la differenza nei casi e nel numero. L’accusativo è confluito nel dativo (prima metà del XII secolo) e il genitivo è ormai un aggettivo possessivo. Così, al nominativo heMony klyf he overclambe (713); fremedly he rydez (714); he fonde (715); he werrez (720); Nade he ben duʒty (724); Douteles he had ben ded (725) – si oppone il genitivo hisFer floten fro his frendez (714). Il dativo/accusativo per la terza persona singolare maschile è hym (< acc. ags. hine) – He fonde a foo hym byfore (715); etaynez Þat hym anelede (723); Þat feʒt hym byhode (717).

Il pronome di terza persona singolare neutro hit  – bot ferly hit were (716) – è utilizzato in modo impersonale: hit were to tore for to telle of Þe tenÞe dole (719), con il significato di “sarebbe difficile raccontarne anche solo la decima parte”.

I pronomi personali sono molto frequenti perché nell’ultimo quarto del Trecento si stava rendendo sempre più pressante la necessità di espressione esplicita del soggetto: la distinzione tra le varie persone iniziava ad essere gravemente compromessa nella morfologia verbale.

Per il verbo, nel testo vengono utilizzati indifferentemente tempi al presente e tempi al passato. Al presente indicativo, la terza persona singolare mostra la forma in sibilante –(e)s e non quella interdentale Þ, più diffusa nelle Midlands sud-orientali: he rydez (714); he fyndez (718); he werrez (720). Alla terza persona plurale invece si nota già la caduta della desinenza –en nel verso 723:  And etaynez Þat hym anelede; stesso destino per l desinenza finale dell’infinito (719, for to telle).

(713) Overclambe èpreterito singolare del verbo composto overclimben (< ags oferclimban[8] su cui ha agito sonorizzazione della fricativa nel prefisso del composto), terza classe dei verbi forti, con alternanza vocalica /i, a, u, u/ . Della stessa classe è anche (716) fonde: preterito singolare del verbo finden; sull’alternanza vocalica nel paradigma finden, fand, funden, (y-)funden /i:, a:, u:, u:/  l’analogia che fa sì che il preterito singolare fand si modelli sulla stessa vocale del preterito plurale funden, diventando fund> found.

            (716, 719) hit were: il presente di questo verbo è la forma anomala ben; il preterito del verbo “essere” viene classificato come appartenente alla quinta classe dei verbi forti[9], presenta alternanza vocalica a/e (was, weren), ma anche consonantica s/r. Lo stesso verbo “essere” compare altre due volte nel passaggio: (724) Nade he ben duʒty /(725) he had ben ded. L’enorme valore di questa costruzione dal punto di vista sintattico verrà discusso avanti; da un punto di vista morfologico è interessante notare che in queste due forme è presente il participio passato del verbo ben, che ancora non esisteva in anglosassone.

Per i verbi deboli, (717) byhode è preterito del verbo byhove(n); il preterito singolare passed (715)invece, testimonia dell’importante apporto normanno (passen < a.fr. passer). La sua appartenenza alla classe dei verbi deboli va proprio ricondotta alla produttività di questa classe per gestire i prestiti, poiché i nuovi verbi che entravano nella lingua dal latino e dal francese confluivano in essa (tranne possibili analogie avvertite dai parlanti) seguendo la suffissazione del preterito in dentale. Lo stesso vale per (724) served: participio passato del verbo serven (“servire”, in questo contesto con il significato di “fedele a Dio”) che ci riporta nell’orbita romanza (< a. fr. servir); woned (721) ha invece origine anglosassone (<ags: wunian, wunigan[10]) ed è il preterito in dentale del verbo wonen (“risiedere, abitare”).

SINTASSI

Alcune scelte nell’ordine degli elementi della frase riscontrabili nel frammento erano abbastanza frequenti nell’inglese medio, anche se, per ragioni riguardanti la natura poetica,  alcune regolarità cedono il passo alla ricerca dell’effetto.

Ciò che si può notare a colpo d’occhio, e che assurgerà a regola fino all’inglese odierno, è la necessaria connessione tra soggetto e verbo. Malgrado l’ordine ancora piuttosto libero, infatti, la caduta delle desinenze verbali comporta un netto avvicinamento di questi due elementi nella linea dell’enunciato.

Nelle principali troviamo sia un ordine SVO He fonde a foo hym byfore (716) che un ordine con oggetto anteposto OSV Mony klyf he overclambe (713) con oggetto in evidente posizione enfatica.

L’avverbio di solito produce in inglese medio un’inversione VS, cosa che qui non accade se per esempio l’autore dice Sumwhyle wyth wormez he werrez (720), indicativo del fatto che la forma SV, per esigenze dovute alla non sufficiente complessità morfologica, tende a fossilizzarsi in una regola il più possibile disambigua.

Come già accennato, la proposizione relativa è introdotta da Þat con verbo all’indicativo (Sumwhyle wyth wodwos Þat woned in Þe knarrez, 721). Anche Þer (715, 718) può introdurre lo stesso tipo di proposizione.

La finale implicita è segnalata da For to con verbo all’infinito (Hit were to tore for to telle, 719 con caduta della –n finale già dal XII secolo).  Al verso 717 la consecutiva è introdotta da so…Þat (< swa Þat, ancora in uso in questa forma nel periodo medio): And Þat so foule and so felle Þat feʒt hym byhode. Bot (altrove già but > bote, bute) introduce all’avversativa retta dal congiuntivo (bot ferly hit were, 716).

Il Nade del verso 724 è poi una contrazione della particella negativa ne (con elisione della e) + verbo “avere” (ne hadde), con significato ipotetico (letteralmente“se non avesse”).

Si individuano dei tempi composti, il cui uso diveniva sempre più frequente nel periodo inglese medio: (724) Nade he ben duʒty and dryʒe, and Dryʒtyn had served e (725) Douteles he had ben ded (< ags. dead) and dreped (da drepen < ags. drepan) ful ofte. L’ausiliare è have e va ricordato perché si potevano utilizzare infatti sia l’ausiliare “essere” che “avere” (per i verbi transitivi e intransitivi rispettivamente) fino al tardo inglese medio, quando il verbo be perse terreno perché si avvertiva sempre più spiccatamente come ausiliare per la formazione del passivo. Per molto tempo il soggetto o l’oggetto si potevano interpolare tra l’ausiliare e il participio passato: al verso 724 l’oggetto Dryʒtyn è anteposto al verbo had served, ma il soggetto he si trova inserito tra Nade e il participio passato ben.

Dal punto di vista della comparazione infine, notiamo due superlativi assoluti caratterizzati non da flessione ma da perifrasi: to tore (719), con il senso di “difficilissimo, troppo difficile” e ful ofte (725), con il significato di “molto spesso” che, assieme ad altre forme, ha ormai soppiantato l’ags. swiÞe.

LESSICO

A termini di derivazione francese e latina si affiancano termini di genuina provenienza germanica, siano essi indigeni o dovuti al contatto scandinavo.

È germanico il sostantivo Dryʒtyn (724) per riferirsi a Dio, così come foo (716) che conviveva però con il francese enemy. Mount (718) è un termine anglosassone (< ags. munt) derivato dal latino.

Gli scandinavismi sono molti. L’attributo ded (725) rimanda ad un’origine anglosassone (<dead), ma se lo consideriamo da un diverso punto di vista ci fa tornare in mente l’importante apporto vichingo. Infatti, in anglosassone non esisteva il verbo die, bensì il verbo sweltan, poi sostituito. Abbiamo già citato la preposizione fro che tuttavia non è uscita vincitrice dalla concorrenza con la parola anglosassone from; l’opposto accade invece per boÞe ( > i. mod. both), l’equivalente norreno del perduto anglosassone begen.

Per gli apporti francesi, si è già parlato dei verbi passer e servir. Contrayez (713) deriva dal francese contrée/cuntrede ed è correlato ad un aggettivo anch’esso continentale: straunge (713)< estrange, estraunge. Anche mervayl (718) è un prestito mentre  foule (717) è un aggettivo anglosassone (fūl) anche se graficamente segnala il suono [u] secondo il costume normanno. Un caso particolare è il verbo werren (720) che deriva sì dall’ a. fr. guerrer, ma che a sua volta il francese aveva assimilato dai Franchi, popolazione germanica.

Si può notare infine come i prestiti dal francese siano già perfettamente adattati nel sistema della lingua poiché al verso 725 compare douteles, un composto in cui ad un lessema romanzo dout(e) (< a. fr. dote, doute) si combina il suffisso anglosassone –les (i. mod.: less), che denota privazione.


[1] Edizione contenuta in MOSSÈ F., Handbook of Middle English, (traduz. Walker J. A.), The John Hopkins University Press, Baltimore & London, 1952 (1991), p. 239

[2] Con Rinascita allitterativa si definisce il riscatto di questo tipo di versificazione tipicamente germanica caratterizzata dalla ripetizione dei fonemi inziali di parola, dopo una lunga parentesi di silenzio dovuta alla rivoluzione culturale determinata dal dominio normanno. GIACCHERINI E., Il Gawain-poet in BERTINETTI P., Storia della letteratura inglese. Dalle origini al Settecento, Einaudi, Torino, 2000. p. 24

[3]Per evitare confusione Mossé sostituisce le “yogh” che indicano la sibilante del plurale con delle z (frendeʒ = frendez).

Traduzione mia (letterale, mantenendo stessi tempi verbali e simile sintassi):  “Molti colli salì in contrade insolite / molto lontano dai suoi amici come uno straniero cavalca / ad ogni guado o fiume che il guerriero attraversò / trovò un nemico di fronte a lui ma era strano [Boitani P.: “era strano se non trovava un qualche nemico ad attenderlo” in BOITANI P., La Letteratura del Medioevo Inglese, La Nuova Italia Scientifica, 1991, p. 156] / e così brutto e così feroce che lo induceva alla battaglia. / Così tante meraviglie tra le montagne, lì l’uomo trova / che sarebbe difficile raccontarne la decima parte. / A volte contro draghi combatte e con lupi anche, / A volte contro selvaggi che vagavano tra le rupi, / e contro tori e orsi e cinghiali altre volte, / e mostri che lo inseguono dagli alti pendii; / se non fosse stato così  coraggioso e forte e (non) avesse servito il Signore, / senza dubbio sarebbe morto e ucciso molto spesso (sarebbe stato ucciso in molte occasioni).

[4] Mossé, op. cit., p. 16

[5] Anche se il segno –th era stato introdotto con la conquista normanna, il suo uso si generalizzerà solo a partire dal Quattrocento.

[6] Mossé, p. 9. Si veda anche nota n. 3

[7] ge tende a sparire, mentre ā > ō

[8] Origine anglosassone e paradigma per questo verbo e per wonen (più avanti) rintracciati sul Middle English Dictionary, University of Michigan, copyright 2001 http://quod.lib.umich.edu/cgi/m/mec/med; tutti gli altri si trovano in Mossé F., op. cit.

[9] FRANCOVICH-ONESTI, L’Inglese dalle origini ad oggi. Le vicende di una lingua, La Nuova Italia Scientifica, p. 110

[10] Si veda nota 9

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