Il giudizio incostante: gli opposti e l’acqua nella Imagery dell’Othello

Chiara Di Felice

Il termine imagery indica un complesso di dettagli densi tesi a stimolare la memoria sensoriale del destinatario di un testo, mediante il riferimento in senso figurato a campi semantici ricorrenti[1]. Questo insieme di “immagini-parola” è stato identificato come peculiarità tecnica nella produzione di Shakespeare dagli studi pioneristici di G. Wilson Knight, Caroline F. E. Spurgeon e Wolfgang Clemen[2] che, accanto alla funzione di artificio retorico volto a illustrare o impreziosire un pensiero[3], ne hanno individuato l’importanza per la caratterizzazione del personaggio[4].

In questo lavoro si prenderà in esame la imagery nell’Othello, con particolare attenzione ai significati di conflitto e all’onnipervasiva presenza dell’elemento acquatico. 

Gli opposti in conflitto

Shakespeare sviluppa un ricco repertorio di immagini poetiche che emerge biforcandosi in due famiglie contrapposte di simboli che ci restituiscono il mondo del conflitto. Nell’Othello, la concretezza delle immagini è affidata alla giustapposizione di idee in antitesi, di opposti in dicotomia. Il contrasto è sostrato diffuso della società tutta di inizio Seicento e si rende ancor più necessario all’interno di una tragedia che tra i suoi temi mette in scena quello della diversità.

Si possono individuare schemi di contrasto profondamente connessi tra di loro e che sembrerebbero evocare un’opposizione manichea nel conflitto tra bianco e nero, il quale volentieri sfocia nello stereotipo tra purezza e corruzione. Si noti, ad esempio, come Jago annuncia a Brabantio che sua figlia Desdemona appartiene ormai al Moro:

Zounds, sir, you’re robbed, for shame put on your gown!

Your heart is burst, you have lost half your soul,

Even now, now, very now, an old black ram

Is tupping your white ewe! […]

(I. 1. 84-88)

Pronunciata nella prima scena, questa battuta si distingue per una marcata potenza evocativa poiché permette allo spettatore di ricavare informazioni importanti: siamo informati sulla natura fisica e morale – quest’ultima  dall’ottica di Jago – dei due protagonisti nonché indirettamente, grazie alla trivialità della metafora animale, sulla natura spregevole di Jago stesso, sulla sua materialità:

I am one, sir, that comes to tell you your daughter

and the Moor are now making the beast with two backs.

(I. 1. 115-116)

            L’opposizione bianco/nero tende a tingersi di sfumature moralmente qualitative anche nell’ambientazione. È il buio della notte il catalizzatore delle azioni di Jago, dalla sbornia di Cassio all’omicidio di Roderigo, nel macchinoso piano di far calare le tenebre sulla verità:

I have’t, it is engendered! Hell and night

Must bring this monstrous birth to the world’s light.

(II. 1. 402-403)

Il nero e la notte si caricano dunque di intenso significato simbolico, finendo per coincidere con l’antitesi tra angelico e diabolico e per esteso tra paradiso e inferno. Non necessariamente però il giudizio morale in queste coppie oppositive si limita a restituire al pubblico una dicotomia gratuita (your son-in-law is far more fair than black – I. 3. 292); la diversificazione dei punti di vista fa sì che per Othello, una volta insinuatosi il dubbio, non riesca più possibile riconoscere una figura angelicata nella sua Desdemona – tanto come per Shakespeare assumere una presa di posizione univoca nei confronti del reale – e così a un’elementare opposizione manichea si sostituisce un profondo conflitto d’ambivalenza:

                               Look where she comes:

If she be false, O then heaven mocks itself,

I’ll not believe’t.

(III. 3. 281-283)

Più avanti, il dubbio è diventato ormai certezza, e se prima Othello stentava ancora a credere Desdemona capace di tanta malvagità, ora la reputa indiscutibilmente diabolica e dannata:

Come, swear it, damn thyself,

Lest, being like one of heaven, the devils themselves

Should fear to seize thee: therefore be double-damned,

Swear thou art honest!

(IV. 2. 36-39)

La divisione in emisferi opposti risulta essere fallimentare giacché manca l’appiglio di una distinzione netta e giustificata dai fatti: non è possibile frazionare il continuum umano né essenzializzarne le risultanti. Sono infatti le menzogne di Jago a orchestrare il giudizio degli altri personaggi e le parole di Shakespeare restano in bilico tra un’atavica esigenza classificatoria – il bianco, la purezza, l’angelo, il paradiso da una parte, il nero, l’impuro, il demoniaco, l’inferno dall’altra – e la consapevolezza che qualsiasi tassonomia è destinata a una perpetua ridistribuzione; è lo stridore di un chiasmo e di un ossimoro:

Heaven truly knows that thou art false as hell.

(IV. 2. 40)

L’acqua

Se il contrasto tra opposti rende incostante il giudizio, l’acqua è l’elemento naturale che meglio si addice a esprimere l’instabilità. L’acqua appare nell’Othello in tutte le sue forme: essa è sfondo dell’azione drammatica, echeggia nel nome di Venezia, nel viaggio per mare e nella flotta turca, si muove sotto la terra mobile dell’isola di Cipro.

Come fa notare Caroline Spurgeon[5], le immagini del mare confluiscono direttamente nel repertorio metaforico dei personaggi. Ad esempio Jago, mentre si lamenta con Roderigo per essere stato surclassato da Cassio, si definisce be-leed and calmed (I. 1. 29) per poi identificarsi più avanti con l’immagine della nave:

I must show out a flag and sign of love,

Which is indeed but sign. […]

(I. 1. 153-4)

Una simile metafora è estesa da Jago anche a descrizione dell’avvenuto matrimonio di Othello:

Faith, he tonight hath boarded a land carrack

If it prove lawful prize, he’s made for ever.

(I. 2. 50-1)

Parallelamente, per Othello, il mare è tanto onnipresente da diventare termine di paragone:

But that I love the gentle Desdemona

I would not my unhoused free condition

Put into circumscription and confine

For the sea’s worth. […]

(I. 2. 25-8)

L’acqua ha una polivalenza simbolica straordinaria e se, nei miti, nelle cosmogonie, precede tutte le altre forme come fonte di vita e rito di abluzione, il mare può essere soprattutto ingannevole (She was false as water – V. 2. 132) e rischio di morte:

[…] O, let the heavens

Give him defence against the elements,

For I have lost him on a dangerous sea.

(II. 1. 45-7)

L’acqua è anche tempesta. Una volta scongiurato lo iudicium aquae, Othello, approdato a Cipro, si ricongiunge con la sua amata:

If after every tempest come such calms

May the winds blow till they have wakened death,

And let the laboring bark climb hills of seas,

[…]

(II. 1. 183-5)

La tragedia è intrisa di tempeste dell’animo, la tempesta può essere anche personale, come quella che soffre Othello guardando il corpo esanime di Desdemona:

Here is my journey’s end, here is my butt

and  very sea-mark of my utmost sail.

(V. 2. 265-6)

Un contributo allo studio dell’elemento dell’acqua nell’Othello viene fornito da Ronan Clifford[6] il quale, sebbene dedichi attenzione a questo aspetto della imagery seguendo  prettamente un’angolazione religiosa e connessa al rito battesimale, afferma che nella tragedia  the story is set on water, drowned in tears[7]. In questo modo viene indirettamente offerto un anello di congiunzione tra il costante riferimento al campo semantico della vista e la sineddoche dell’occhio (What an eye she has! – II. 3. 21; Make it a darling, like your precious eye! – III. 4. 68; Mine eyes do itch – IV. 3. 57) e quello del liquido – moist, come la mano di Desdemona – che si ricongiungono nelle lacrime:

O devil, devil!

If that the earth could team with woman’s tears

Each drop she falls would prove a crocodile

(IV. 1. 243-5)

È interessante notare come in questa stessa battuta di Othello ritornino tutti gli elementi della imagery: l’assimilazione al diabolico (O devil, devil!), il riferimento etologico e infine l’acqua. Il liquido delle lacrime (tears) che si concretizza nella singola goccia (drop) per poi tornare nella vastità dell’acqua, che però è ora acqua stagnante, paludosa, quella in cui dimora e piange un rettile spregevole e dicotomico nella sua natura anfibia.

Bibliografia

Honigmann E. A. J. (a cura di), Shakespeare. Othello, Arden Shakespeare: Third Series, 1997

Bethel S. L., “Shakespeare’s Imagery: the Diabolic Images in Othello” in AAVV, Shakespeare’s Survey 5. Textual Criticism, Cambridge University Press, Cambridge, 2002 (1952) pp. 62-80

Clemen W., The Development of Shakespeare’s Imagery, Routledge, Londra, 2005 (1951)

Clifford R., “Keeping Faith. Water Imagery and Religious Diversity in Othello” in Kolin P. C. (a cura di), Othello: New Critical Essays,  Routledge, New York e Londra, 2002

Knight G. W., The Wheel of Fire: Interpretations of Shakespearian Tragedy, Routledge, Londra, 1980 (1930)

Spurgeon C. F. E., Shakespeare’s Imagery and what it tells us, MacMillan, New York, 1


[1] Si segue qui la definizione di Caroline Spurgeon (Spurgeon C. F. E., Shakespeare’s Imagery and what it tells us, MacMillan, New York 1935). Si noti che, in studi più recenti, al senso tradizionalmente riconosciuto di imagery, S. L. Bethel riconduce anche tutti i riferimenti ricorrenti intesi in senso diretto e non solo figurato (cfr. Bethel S. L., “Shakespeare’s Imagery: the Diabolic Images in Othello” in AAVV, Shakespeare’s Survey 5. Textual Criticism, Cambridge University Press, Cambridge, 2002 (1952) p. 62)

[2] Knight G. W., The Wheel of Fire: Interpretations of Shakespearian Tragedy, Routledge, Londra, 1980 (1930); Spurgeon C. F. E., op. cit.; Clemen W. The Development of Shakespeare’s Imagery, Routledge, Londra, 2005 (1951)

[3] Spurgeon C. F. E., op. cit., p. 9

[4] Si veda a tal proposito Knight G. W., op. cit., p. 118 e Clemen W., op. cit., p. 119

[5] op. cit., p. 337

[6] Clifford R., “Keeping Faith. Water Imagery and Religious Diversity in Othello” in Kolin P. C. (a cura di), Othello: New Critical Essays,  Routledge, New York e Londra, 2002, pp. 271-292

[7] op. cit., p. 283

Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel maggio 2013 sulla rivista online The New Loiterer (link non più attivo)

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